Sfogliando la curata pubblicazione di Renzo Rosati edita per i cento anni della Cassa Rurale – Bcc di Pontassieve è possibile scoprire alcune note storiche sul “Pro Familia”: per molti anni, infatti, la storia della struttura e quella dell’Istituto Bancario hanno marciato parallele in quanto all’interno del Pro Familia si è trovata, fino alla Seconda Guerra Mondiale, la modesta sede della Cassa Rurale.
Fin dall’inizio, negli anni 1910–11, la volontà dei fondatori fu chiara: il Pro Familia avrebbe dovuto essere il contenitore di attività ed iniziative a scopo sociale, condotte dal movimento cattolico.
Furono quelli gli anni in cui anche a Pontassieve i cattolici iniziarono ad organizzarsi per essere parte attiva della società. I progetti del 1911 dell’Anonima Edificatrice Pro Familia prevedevano di affiancare a locali dedicati alla Cooperativa di Consumo, al Piccolo Credito Toscano e alla Cassa Rurale, un salone con palcoscenico, uno per il biliardo, una per il buffet, una piccola biblioteca, lo spogliatoio e la latrina;
al secondo piano era programmata la costruzione di alcuni appartamenti.

Ma la Prima Guerra Mondiale fermò la realizzazione del progetto e fu soltanto nel 1924, dopo anni di grossi sforzi economici da parte della nostra comunità, che venne completato l’edificio.
Divenne la sede del Circolo Cattolico, luogo di svago, incontri, ma anche di formazione culturale e politica. Vi si svolgeva, tra l’altro, un’attività teatrale con circa dieci rappresentazioni all’anno, interpretate da soli uomini. All’ultimo piano in un appartamento risiedeva,
con la famiglia, Paolino Papini (1865 – 1952), operaio della fattoria di Grignano, custode del Circolo Cattolico e contabile della Cassa Rurale. Paolino era il padre della nostra Ada che fino a pochi anni fa ha continuato ad abitare sopra il Cinema Italia.

Nel 1931 il Circolo Cattolico fu chiuso per un anno dal governo fascista, per riaprire nel 1932; nel 1936 fu acquistata una cabina di proiezione per il sonoro che, nello stesso anno, fu danneggiata da un incendio. Poi, di nuovo, la guerra: il Circolo venne distrutto dai bombardamenti. La ricostruzione ebbe termine solo nel 1954: iniziarono trent’anni di intensa attività, tra cinema, spettacoli teatrali, attività dei giovani e
riunioni di vario tipo ed argomento nella “saletta”.

Iniziò la storia recente del Circolo: quella che in molti possono ricordare per aver vissuto direttamente, nell’infanzia, le gare ad arrivare primi alla saracinesca del Cinema Italia – così si è chiamato negli ultimi anni della sua attività il Pro Familia – nel primo pomeriggio della domenica, già pensando alle patatine o al pop corn o, ancor meglio, alla polenta fritta.
Quanti film visti: I dieci comandamenti, La tunica, Per un pugno di dollari, Assassinio sull’Eiger, La leggenda del Santo Bevitore…
Chi non ricorda l’attività di tanti (ma non mai abbastanza…) volontari che portavano avanti la gestione del cinema e delle famiglie che si sono avvicendate nella gestione del bar. Non è possibile fare la lista dei nomi senza correre il rischio di scordarsi di qualcuno e ciò sarebbe imperdonabile.

In molti si ricorderanno del Cinema Italia come luogo della propria adolescenza e della propria giovinezza: l’impegno nei gruppi giovanili parrocchiali, l’organizzazione con tanti amici dei Cineforum con profondi dibattiti alla fine delle proiezioni, guidati da esperti come Don Cuba, Gianni Giovannoni, Don Lorenzo Righi, Don Andrea Lombardi e tanti altri.
E in ancor più avranno memoria dell’attività della compagnia teatrale amatoriale Lo Zaino, che coinvolse decine di giovani e meno giovani, prima che, alla fine degli anni Ottanta, le Autorità non concedessero più l’autorizzazione temporanea agli spettacoli teatrali.
Tutti, infine, si ricorderanno di quando, nei primi anni Novanta, chiuse il cinema, interrompendo il film di una parte importantissima della storia dell’impegno culturale a Pontassieve.

Forse è proprio ora il momento di correre ai ripari, di riprendere la proiezione di quella pellicola.
Un antico proverbio indiano recita: “La terra non è eredità ricevuta dai nostri Padri, ma un prestito da restituire ai nostri figli”. Vogliamo provare ad andare in questa direzione?

di Paolo Bracaglia

Costruire un progetto culturale per una comunità ci pare affar di tutti: in primo luogo perché crediamo che si debba partire dai bisogni della comunità e interrogarci sul significato e sull’impatto futuro di una scelta fatta oggi. E così ci siamo dati il compito di guardarci un po’ in giro, aprire occhi e orecchie per capire quanto un progetto come questo si basi sulle reali esigenze della comunità tutta o sia piuttosto il sogno di un gruppo più ristretto.

Dunque cominciamo: sono diverse e diversificate le esperienze di teatro nel territorio, con associazioni che propongono corsi strutturati e laboratori di teatro e giocoleria per bambini, ragazzi e adulti. A questi si aggiungono le numerose esperienze amatoriali di gruppi informali che si cimentano sul palcoscenico; senza contare poi chi individualmente ha intrapreso questa strada a livello professionale, facendo conoscere il proprio talento oltre confine. Lo stesso vale per le esperienze cinematografiche e video, dato che la nostra Valle conta numerosi registi più
o meno affermati e vari lungo/cortometraggi realizzati nel territorio.
Se poi ci soffermiamo ad osservare “icche c’è” a livello musicale, beh, i gruppi sono talmente numerosi e gli stili proposti talmente vari, che è difficile pensare di poterli in qualche modo censire.
E poi, giacché si parla di cultura, non possiamo dimenticare i numerosi pittori, scultori, scrittori, poeti…
Vocazione artistica dunque per tanti abitanti della ridente Valdisieve; geni ereditati da stornellatori, suonatori e affabulatori che rallegravano le antiche veglie dei mezzadri e i cui attuali eredi sono spesso relegati in sagre e feste estemporanee o costretti, si fa per dire, all’esilio. Vocazione artistica in chi esce la sera in direzione Firenze per trovare il teatro o il cinema, in chi ha a cuore la storia di Pontassieve e si documenta e ricerca vecchie foto, in chi frequenta la scuola di musica o i corsi universitari per la terza età, in chi dedica tempo per far conoscere ai bambini i percorsi naturalistici vicino al paese, e in tutti coloro che hanno voglia di insegnare o di imparare.

Lungi dal sostenere che la nostra sia un’analisi completa ed esauriente, ve lo diciamo: la nostra risposta è NO!
Pontassieve non è un paese che dorme.
Ma il rischio di assopirsi c’è, se non diamo un grande palco a tutti, a coloro che amano stare sopra e a coloro che lo spettacolo vogliono goderselo seduti in poltrona. Non desideriamo un paese periferia, dove si torna a casa la sera per andarsene a letto; vogliamo offrire a noi
stessi membri di questa comunità un paese vivo e vivace dove le più diverse espressioni culturali possano incontrarsi e condividere le proprie esperienze.
Per questo vogliamo allargare a tutto il paese la domanda, vogliamo che tutti si sentano coinvolti: nella nostra analisi iniziale quello che siamo riusciti a capire, per ora, è che più siamo meglio è.
Dunque Pontassieve forse non se la dorme proprio di brutto, e sotto le coperte qualcosa si agita…solo che non lo sappiamo e a furia di ripetercelo, ci stiamo addormentando veramente….le persone ci sono, il seme anche…
facciamo suonare le sveglie!

di Francesca e Angela

Che si indica con questa espressione?
Le risposte possibili a questo interrogativo sono molteplici. Ne prenderemo in esame alcune che possono servire come base di partenza per una riflessione allargata.

Che cos’è la cultura?
Partiamo dal secondo termine: cultura. Che cos’è? Anche questa è una domanda che ammette una molteplicità di risposte.
Cultura ha a che vedere con il “coltivare”, e il campo in cui si semina è l’animo umano. Una persona colta è quella che ha avuto la possibilità di piantare nel proprio giardino un vario, ma selezionato numero di piante e alberi che nel tempo producono frutti in abbondanza. Cultura è però anche l’insieme delle “idee” e dei “comportamenti” di una collettività, per esempio un popolo o un gruppo sociale, che in essa trova un fattore di identità.

Progetto culturale.
Cosa significa pertanto formulare un progetto culturale? Significa trovare nuove strade per mettere se stessi e gli altri in condizione di coltivare il proprio giardino, di maturare e crescere, di acquisire conoscenze in vista di una maggiore consapevolezza e di un più
acuto spirito critico nei confronti della scelte della vita e delle proposte della società. Per una collettività elaborare un progetto culturale significa inoltre progettare il proprio futuro, riflettere sulla propria identità presente investendo sull’avvenire.

Quale progetto culturale?
La storia insegna che elaborare progetti culturali può essere molto pericoloso.
Si rischia di pensare agli “Altri” come a un campo da colonizzare, da irrigare e spianare secondo un piano, a volte anche buono nelle intenzioni, ma invasivo e poco attento a valutare la disponibilità del terreno. Si pensi solo al risultato a lungo termine della “civilizzazione” dell’Africa.
Per questa ragione un progetto culturale legato al territorio deve essere elaborato dal territorio e deve coinvolgere una base ampia e variegata di persone. Allo stesso tempo il progetto culturale di una collettività deve avere il coraggio di spalancare le porte agli stimoli positivi che provengono dall’esterno per permettere alla comunità di imparare qualcosa di nuovo. Deve poi soprattutto stabilire fin da subito alcune priorità:
prima tra tutte scegliere come strumento il dialogo e come fine primario quello di dare un’opportunità a tutti di prendere coscienza della propria responsabilità verso se stessi e verso gli altri.

di Emanuela Agostini e Roberto Caccavo

Con questa pubblicazione si intende concludere una fase per iniziarne un’altra.
Qualche anno fa è iniziato il cammino per ripensare il valore della struttura “Cinema Italia” che ha portato alla conferma della vocazione della comunità cristiana all’annuncio del Vangelo. Inizia nello stesso momento un cammino di partecipazione di tutti: ognuno porta con sé un seme che lo distingue e lo rende capace di donare.

Il Vangelo è affidato ai credenti perché lo vivano e lo diffondano: “Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta” (Giovanni Paolo II).

Solo con una fede libera e creatrice il Vangelo può ringiovanire le tradizioni di una comunità.
Fare cultura non è una moda o un modo per riempirsi la bocca di parole. Al contrario significa aver capito che il tesoro prezioso del Vangelo e il dono della fede non vanno nascosti o sotterrati e neppure custoditi gelosamente solo per se stessi.

“Il Vangelo è potenza di Dio per la salvezza” (Rom. 1,16) ma ha bisogno di incarnazione negli spazi vitali che si trovano dove si cerca di unire l’umano e il divino (Lumen Gentium 36).
Ma il Vangelo è una persona da conoscere sempre meglio e da far conoscere sempre più: Gesù, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo. Gesù è in grado di donare a tutti le ragioni della vita piena e della speranza.
Senza questa ispirazione evangelica profondamente intuita e vissuta ci si potrebbe ridurre ad un vago sentimento di filantropia, ad una sorta di umanesimo ateo.
La potenza del Vangelo emerge nell’assoluta certezza che contenuta nella promessa della conclusione del Vangelo di Matteo(28,20): “io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”.
Realizzare un progetto culturale vuol dire essere attenti alle necessità spirituali dell’uomo, di ogni uomo.
Uno dei frutti della riflessione è il nome della nuova struttura: “Il Giardino degli Spiriti” o “Il Giardino degli Spettri” (sempre possibile cambiarlo – come ogni elemento di questa pubblicazione).

Il nome del progetto vorrebbe fungere quasi da manifesto espressivo di ciò che la comunità vuole annunciare con questa realizzazione.
“Giardino” intende essere un riferimento allo stare all’aperto, in mezzo al crescere delle piante, in un luogo dove ci si può trattenere per gustare la bellezza e per goderne insieme.
“Il Giardino degli Spiriti” vuol richiamare la funzione dello spettacolo: spazio per lo spirito, per l’anima, per ciò che fa respirare ma anche spazio di ingegno, di intelligenza.
“Il Giardino degli Spettri”, invece, vuol mettere in dialettica il visibile e l’invisibile:
lo spettacolo è ciò che è visibile, mentre lo spettro è un fantasma che potrebbe divenirlo apparendo; in più c’è il richiamo colorato allo spettro luminoso, tipico della riproduzione artificiale del cinema.

d. Luciano Santini